Perché gli ignoranti credono di avere sempre ragione? | Effetto Dunning-Kruger
“So di non sapere”. Ne sono convinto: una buona parte di voi sa di cosa sto parlando.
Quella che ho appena pronunciato è probabilmente una delle frasi più celebri attribuite a Socrate, filosofo dell’antica Grecia, dal suo discepolo Platone nella sua Apologia di Socrate.
Ma tutto questo cosa c’entra con la scienza? La risposta è una: effetto Dunning-Kruger.
Come avete visto dall’anteprima, oggi il nostro viaggio ci porta a esplorare un aspetto della nostra vita che mette insieme scienza e filosofia, due modi diversi di vedere e analizzare il mondo.
Siamo partiti da Socrate ma, per capire di cosa parliamo quando sentiamo l’espressione “effetto Dunning-Kruger”, dobbiamo fare un passo indietro.
Semplici, diretti e precisi: l’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva ipotetica, a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità. Lo so, ho usato quella che potrebbe sembrare una parolaccia, distorsione cognitiva, ma tranquilli ce la chiariamo subito.
Una distorsione cognitiva, detta anche bias cognitivo, è la tendenza a creare una propria realtà soggettiva, qualcosa che ci appartiene e che noi plasmiamo sulla base delle sole informazioni che possediamo. I problemi principali connessi con una distorsione cognitiva da ora in poi bias) sono, però, principalmente due: primo, la realtà che noi ci costruiamo in testa non sempre corrisponde a quella che è la verità (come stanno i fatti).
Il secondo motivo è che la realtà che ci costruiamo è sì basata sulle informazioni che abbiamo ma queste spesso mancano di un nesso logico o semantico tra loro.
I bias cognitivi però hanno una loro ragione di esistenza e, come ci ricordano tutti i manuali di psicologia, sono delle forme di comportamento mentale evoluto, cioè qualcosa che noi compiamo e che avviene nella nostra testa.
Quando abbiamo iniziato a parlare di cervello sul canale YouTube ce lo siamo raccontati: quest’organo così bello che abbiamo nella nostra scatola cranica non è interessante solo per la sua biologia ma anche per come ci permette di vivere il mondo che ci circonda.
Capiamo bene il perché i bias siano così importanti e studiati: in alcuni casi sono delle forme di adattamento perché ci permettono di compiere delle azioni molto efficaci in alcuni contesti o, per esempio, di prendere delle decisioni molto velocemente. In altri casi, invece, i bias sono una conseguenza della mancanza di alcuni meccanismi mentali come, per esempio, un giusto modo di ragionare.
Abbiamo capito quindi che l’effetto Dunning-Kruger è un bias cognitivo e chi ne è vittima, pur avendo scarse conoscenze su un tema, si sopravvaluta, svaluta gli altri e crede di saperne tutto.
Questo bias è stato descritto per la prima volta dai socio-psicologi David Dunning e Justin Kruger nel 1999 ma, nel corso della storia, altri si erano avvicinati pur non studiando il fenomeno da un punto di vista prettamente scientifico. L’esempio forse a noi più consono per restare in tema di persone che hanno fatto la storia della scienza ha un nome e un cognome: Charles Darwin. Al biologo, naturalista e antropologo britannico infatti viene attribuita questa frase: “L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza”.
Se poi andiamo più indietro nel tempo ecco che arriviamo al punto di partenza: Socrate. Le fondamenta del pensiero socratico si basavano infatti su una frase tanto semplice quanto efficace: “so di non sapere”. Questa, secondo il filosofo greco, era da intendersi come una consapevolezza di non poter raggiungere una conoscenza definitiva e questo spinge verso il desiderio di conoscere: più ci si addentra nello studio e nella conoscenza, più ci si rende conto delle infinite ramificazioni del sapere.
La conoscenza diventa quindi un processo in continua evoluzione e non si esaurisce mai.
Capiamo a questo punto come proprio nel significato del messaggio di Socrate sia possibile trovare un’analogia con lo studio di Dunning e Kruger.
Vi risparmio, per una questione di tempo tutti gli studi condotti ma voglio riportarvi alcune ipotesi formulate dai due studiosi a carico delle persone inesperte.
- Uno. Le persone inesperte tendono a sovrastimare le proprie abilità. Volete un esempio pratico? Bene, in Italia ci sono sessanta milioni di allenatori. Dopo aver visto una partita di calcio ci sentiamo tutti allenatori e siamo tutti in grado di fare meglio degli altri.
- Due. Le persone inesperte, secondo le ipotesi di Dunning e Kruger, non si renderebbero conto delle effettive capacità degli altri. Al primo errore di chi abbiamo di fronte spesso siamo pronti a denigrarlo e sottovalutarlo, attribuendogli ingiustamente l’etichetta di “poco di buono”.
- Tre. Le persone inesperte non si rendono conto della loro inadeguatezza. Quante volte ci è capitato di incontrare i cosiddetti “palloni gonfiati” o “so tutto io”? Buona parte delle volte queste persone si ergono in pubblica piazza a depositari del sapere nonché a persone super efficienti ma, loro malgrado, farebbero bene a starsene in disparte.
- Quarta e ultima ipotesi. Le persone inesperte si renderebbero conto e riconoscerebbero la propria precedente mancanza di abilità qualora ricevessero un addestramento per l’attività in questione. Per farvela facile, se acchiappi una batosta forse capisci che stai sbagliando.
All’effetto Dunning-Kruger si associa spesso un grafico cartesiano che ci aiuta a fare ancora di più chiarezza sul fenomeno.
Nel grafico si fissano due valori diversi: sull’asse delle ascisse la competenza-esperienza sul campo mentre su quello delle ordinate la fiducia nelle proprie capacità.
Per scovare l’effetto Dunning-Kruger non c’è bisogno di scervellarsi troppo e, infatti, come possiamo vedere con scarsissime competenze la convinzione di conoscere già tutto dell’argomento è altissima, si raggiunge il punto più alto. Man mano che aumentano le competenze su un argomento invece diminuisce la sicurezza, la fiducia nelle proprie capacità: due sono i punti salienti che possiamo vedere nell’immagine. Il primo è dato dalla frase “Uh, è diverso da come pensavo” e il secondo invece “Accidenti, non ne verrò mai a capo”.
Nel momento in cui però aumentano le conoscenze sul tema e si inizia ad avere la percezione di quanto sia complesso il quadro della situazione tutto comincia ad avere un senso fino a che poi, quando le conoscenze sono abbastanza approfondite, l’unica cosa effettivamente da dire è “credetemi, gente, è complicato”.
Con questo grafico e, meglio ancora, con tutto quello che ci siamo raccontati oggi è chiara una cosa: sparare sentenze conoscendo poco di un argomento non è mai una scelta saggia: uno perché il nostro cervello ci sta giocando un brutto scherzo e due perché, molto banalmente, non ci stiamo facendo una bella figura.