EMPATIA dei medici: quanto conta?
La dote più importante per un medico, forse ancor di più della sua preparazione e competenza, è l’empatia. Un buon medico innanzitutto empatizza con il paziente e prima di individuare un problema e trovare una soluzione si ferma ad ascoltare chi ha di fronte e si rende conto di una cosa semplicissima: chi sta parlando è una persona, in carne, ossa e, soprattutto, pensieri.
Chiunque abbia mai sofferto a livello fisico, anche del più banale doloretto, saprà che la mente inizia subito a vagare e, nei momenti più difficili, viaggia su un binario parallelo, quasi a farci compagnia nel nostro “vivere la vita” anziché esserne parte integrante.
Ed è qui che entra in gioco la figura del buon medico o, se volete, del buon personale sanitario in generale.
La definizione che dà la Treccani di “empatia” è semplice da capire: “l’empatia è la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro.”
Immaginate di essere pazienti. Avete un problema di salute, siete preoccupati, magari anche spaventati. Arrivate dal medico e lui vi tratta come un numero, senza neanche guardarvi negli occhi, con il solo obiettivo di spillarvi soldi e passare al paziente successivo. Non è proprio il massimo, no?
“Ma come, io vengo qui, semmai ho pure affrontato un viaggio impegnativo, ti pago (buona parte delle volte senza neanche ricevere regolare fattura ma questa è una storia che va denunciata in altre sedi) e tu mi tratti così?” Alzi la mano chi non avrà sentito almeno una volta nella vita dire queste parole.
L’empatia è fondamentale nella vita di tutti noi, ogni giorno.
Quando ci spostiamo alla sfera della salute, però, lo è ancora di più perché permette al personale sanitario di creare un rapporto di fiducia con i pazienti. Quando un medico o un infermiere si prende il tempo di ascoltare con attenzione, di comprendere le paure e le preoccupazioni del paziente, prima ancora dei suoi sintomi, quest’ultimo si sente più a suo agio e collaborativo.
Immaginate una donna che sta per partorire. Di fronte ha un medico scorbutico, burbero, che va di fretta non si sa per quale ragione. Immaginate bene quale possa essere il suo stato d’animo ma anche quello di chi ha intorno che assiste a una scena di “violenza psicologica” di questo tipo.
Un paziente che si sente ascoltato e compreso è più propenso a seguire le indicazioni del medico, ad assumere correttamente i farmaci e a fare le scelte giuste per la sua salute. L’empatia, infatti, può anche ridurre lo stress e l’ansia del paziente, favorendo una guarigione più rapida.
Già nel 2012, un titolo apparso sul sito dell’AIFA (l’Agenzia Italiano del FArmaco) fece abbastanza rumore: “Ricerca italo-americana: se il medico è empatico, il paziente sta meglio”. Si trattava di un comunicato stampa relativo a un maxi-studio portato avanti da ricercatori italiani e americani.
Un team di ricercatori statunitensi della Thomas Jefferson University e italiani dell’ASL di Parma aveva condotto uno studio su 20.961 pazienti diabetici per valutare la correlazione tra l’empatia del medico e i loro esiti clinici. I risultati, pubblicati sulla rivista Academic Medicine, confermarono e ampliarono i dati di un precedente studio americano del 2011, dimostrando che un medico empatico può avere un impatto positivo sulla salute dei pazienti diabetici.
Il comunicato recitava: “[…] I ricercatori hanno usato la Jefferson Scale of Empathy (Jse) per misurare l’empatia nel contesto della formazione medica e della cura del paziente. La scala comprende 20 elementi e tutti i medici hanno completato il test. Nello studio del 2011, inoltre, per misurare quanto l’empatia del dottore avesse influenzato gli esiti del trattamento, i ricercatori hanno utilizzato i risultati di due esami medici, il test sull’emoglobina A1c e i livelli di colesterolo, trovando un’associazione diretta tra un punteggio più alto del Jse da parte del medico e un migliore controllo di emoglobina A1c e colesterolo nei rispettivi pazienti. Ora i ricercatori hanno cercato un altro risultato tangibile: la presenza di complicanze metaboliche acute tra i diabetici.”
Nell’abstract del paper scientifico si leggeva invece: “I pazienti dei medici con punteggi di empatia alti, rispetto ai pazienti dei medici con punteggi di empatia moderati e bassi, presentavano un tasso significativamente inferiore di complicazioni metaboliche acute.”
L’empatia, sia ben chiaro, non è una dote innata, ma si può imparare e sviluppare. Ci sono diverse cose che il personale sanitario può fare per migliorare la propria empatia:
- Ascoltare attentamente i pazienti. Non solo le parole, ma anche il linguaggio non verbale.
- Mettersi nei panni dei pazienti. Immaginare come ci si sentirebbe al loro posto.
- Mostrare comprensione e compassione, far capire ai pazienti che non sono soli e che c’è realmente qualcuno che si prende cura di loro.
- Comunicare in modo chiaro e conciso. Evitare il gergo medico e usare un linguaggio comprensibile a tutti. Per la serie, il medichese con i medici e la chiarezza con i non addetti ai lavori”.
È chiaro che l’empatia è un ingrediente fondamentale per una buona medicina. Quando il personale sanitario si prende il tempo di connettersi con i pazienti a livello umano, questo può fare la differenza nel loro percorso di cura.