Tampone naso faringeo | Tutto ciò che bisogna sapere
Oramai la parola tampone è entrata nella nostra quotidianità come poche finora. E lo ha fatto con una violenza tale da lasciarci, a volte, allibiti di fronte a tanta disinformazione che le circola intorno.
Ma cos’è un tampone naso faringeo? Perché serve a identificare l’eventuale presenza del virus nel nostro organismo? Cosa è e cosa c’entra la PCR?
Sin dagli inizi della pandemia da Sars-Cov-2 la parola tampone è risuonata attraverso tutti i mass media in maniera quasi dominante. Ma, come ogni buon argomento scientifico che si rispetti, di fianco al suo corretto uso tante sono state le fake news diffuse. Negazionisti del virus, fan del complotto o comunque semplici cittadini diversamente informati hanno diffuso notizie palesemente false su questo metodo di indagine medica. È bene, quindi, fare un po’ di chiarezza.
Il tampone, conosciuto in termini tecnici come tampone naso faringeo, è un metodo utilizzato per andare a scovare la presenza di eventuale materiale genetico estraneo nell’organismo di un paziente. Materiale genetico che può appartenere a diversi tipi di microrganismi (virus , miceti o batteri). Ed è qui che si incontra il primo spunto di riflessione: il tampone nasce per identificare il coronavirus? Assolutamente no. Si tratta di una procedura di vecchia data venuta alla ribalta in questo periodo per ovvi motivi.
Di solito viene richiesto per identificare un patogeno (microrganismo capace di causare una malattia) responsabile di una faringite insistente o recidivante, in particolare per la ricerca dello Streptococcus pyogenes, che oltre a tonsilliti può causare complicanze come febbri reumatiche e glomerulonefrite.
La procedura, come è ormai noto, prevede l’utilizzo di un bastoncino relativamente lungo simile a un cotton fioc che, attraverso le narici raggiunge la faringe posteriore. Si tratta di un prelievo semplice, rapido e indolore per raggiungere la mucosa della faringe e le tonsille, facendo attenzione a evitare il contatto con la mucosa orale e la lingua (per evitare la contaminazione del campione prelevato). Il bastoncino viene quindi inserito in un’apposita provetta e inviato a un laboratorio di analisi. I tempi tecnici richiesti per il responso sono dell’ordine di 48-72 ore.
Una fake news clamorosa, diffusa in questi tempi, riguarda un test effettuato su una paziente alla quale èstata bucata la barriera ematoencefalica e il tampone ha raggiunto il cervello. Nulla di più falso.
Il caso è reale ed è stato riportato dalla rivista JAMA Otolaryngology Head & Neck Surgery. È avvenuto negli Stati Uniti ma è stato raccontato in maniera assolutamente distorta da una parte dell’informazione italiana (e non solo). Il tampone non ha danneggiato la barriera che protegge il nostro cervello ma la paziente ha mostrato perdita di fluido cerebro-spinale dopo aver effettuato un tampone. È importante tenere presente che la paziente aveva avuto in passato diversi problemi oltre ad aver subito l’asportazione di polipi nasali venti anni prima dell’accaduto. Quello che si è cercato di capire è se ci fosse stata una possibile relazione causa-effetto tra il tampone e la perdita anomala riscontrata dalla paziente (che, peraltro, mostrava anche sintomi come vomito e forti mal di testa). Una casualità ben sfruttata dai fan del complotto.
Ma come si fa a verificare la presenza di un patogeno (nel nostro caso il Sars-Cov-2)? La ricerca di materiale genetico del microrganismo avviene tramite tecniche di biologia molecolare, attraverso le quali si ricerca l’acido nucleico (DNA o RNA). Nello specifico ci si serve di una tecnica chiamata PCR (Reazione a Catena della Polimerasi). Questa permette di amplificare (aumentare) la quantità di materiale genetico isolato dalla mucosa (prelevata proprio grazie al tampone) e verificare l’eventuale presenza del microrganismo.
Una tecnica ben rodata, venuta agli occhi e alle orecchie dei più grazie a questa situazione di emergenza che tutto il mondo sta vivendo.