Quello che sappiamo oggi, grazie alla ricerca scientifica, è che il modo con il quale ci rapportiamo con il mondo esterno, per esempio facendo sport, ha dei forti effetti sul nostro corpo (pensiamo, per esempio, alla muscolatura o alla morfologia del nostro cuore). Perché questo non dovrebbe valere anche per il nostro cervello che, difatti, è l’organo che ci permette di rapportarci con l’ambiente che abbiamo intorno a noi?
Se questo è vero, a buon ragione, possiamo ipotizzare che un ambiente ricco (o un ambiente povero) può avere effetti più o meno marcati sul nostro cervello. Basti guardarsi intorno e volgere lo sguardo a osservazioni fatte in altre specie animali. Queste sono servite a capire quanto sia stato vantaggioso per il cervello sviluppare la capacità di modificarsi per adattarsi all’ambiente circostante (neuroplasticità, vi dice qualcosa?).
Alcuni di questi studi hanno dimostrato che il cervello degli animali selvatici è più grande rispetto a quello degli esemplari addomesticati della stessa specie (articolo 1 e articolo 2). I ricercatori che hanno studiato questa grossa, enorme differenza l’hanno attribuita alla maggiore quantità di informazioni che un animale selvatico deve assimilare nelle prime fasi della vita rispetto a un animale in gabbia. Molto banalmente, un animale selvatico è obbligato a cercare del cibo per poter sopravvivere laddove un animale in gabbia non compie lo stesso sforzo.
Qualcosa succede anche a livello cellulare e, come al solito, basta fare attenzione a cosa avviene nei neuroni. Un arricchimento dell’ambiente aumenta il numero di sinapsi che avvengono nel cervello degli animali. Oltre questo si modificano alcune caratteristiche proprie delle cellule come, per esempio, la densità di spine dendritiche.
Alcuni pionieri, in questo campo di indagini, sono stati Donald Hebb e Mark Rosenzweig.
Quanto visto fino a ora vale per gli animali ma il mondo della ricerca, almeno per certi aspetti, viaggia quasi in parallelo tra questi ed esseri umani. Su questa base possiamo dedurre che l’ambiente, in qualche modo, possa influenzare anche il nostro cervello. Un esempio arriva direttamente dal fenomeno dei bambini selvaggi.
Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo visto film come Mowgli e il libro della giungla o Tarzan. Film storici (per bambini e non solo) ripresi anche negli ultimi tempi e prodotti da piattaforme digitali ( vedi Mowgli edito da Netflix).
Alcuni articoli interessanti pubblicati negli anni approfondiscono la vicenda (articolo 1 e articolo 2). Questi bambini non hanno avuto alcun contatto con gli esseri umani durante la loro infanzia e hanno avuto enormi difficoltà ad acquisire in età adulta conoscenze fondamentali come le basi del linguaggio. E questo vale anche per bambini cresciuti in condizioni di grande carenza affettiva.
La capacità di imparare a parlare ma anche di capire le parole sembra aver subito grossi danni forse dovuti alla mancanza di interazione con altre persone in quei momenti della vita in cui questa è necessaria per il corretto sviluppo del cervello.
L’ambiente può influenzare il nostro cervello? Sulla base di quanto ci siamo raccontati parrebbe proprio di sì.
Guarda sotto o qui il mio video a riguardo.